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Scritto da Giovanni   
Sabato 06 Agosto 2011 17:17

Identità e politica

 

Rossena, 23 luglio 2011

 

Che cos’è l’identità?

Stando al dizionario è il “Complesso di caratteri che distinguono una persona o una cosa da tutte le altre”.

Un’identità può essere 

  • - chiara (so chi sono e desidero che gli altri sappiano chi sono) 
  • - oppure mascherata (so chi sono, ma non voglio che gli altri lo sappiano)
  • - oppure ambigua (non so nemmeno io chi sono).

Vale per le cose e vale per i partiti: è necessario che un partito conosca con chiarezza ciò che distingue dagli altri, se vuole avere la speranza di dialogare e di collaborare.

E’ necessario che un partito esponga con chiarezza la sua identità se vuole essere onesto con gli elettori.

L’onorevole Libè ha detto che l’identità non va scritta, ma va creata nella prassi. Dissento da questa affermazione: l’identità va scritta, e l’identità scritta giudicherà la prassi.

 

Un esempio di identità chiara

Articolo 29 della Costituzione

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

Questo è un esempio di definizione chiara, alla quale segue un’identità chiara.

C’è un fondamento: il matrimonio. E il matrimonio, dal punto di vista etimologico e giuridico, è la “condizione legale della maternità”.

Posto il fondamento del matrimonio, ne deriva una “società naturale”.

Questa società naturale si chiama famiglia.

La famiglia, avendo assunto dei doveri, diviene detentrice di diritti.

La Repubblica non assegna questi diritti, ma li “riconosce” (che poi il riconoscimento non si traduca in buone leggi, questo è un altro discorso).

Non ci sono dubbi che la Repubblica, attraverso una definizione chiara, presenti al cittadino la sua chiara identità sul tema della famiglia.

Può capitare che venga fuori qualche sindaco o assessore locale che straparla in tema di famiglia, pensando che siano “i sentimenti” (ossia la cosa più antigiuridica che esista) a pretendere il matrimonio.

L’identità chiara dell’articolo 29 sta lì ferma, a giudicare questi assessori dalle idee un po’ confuse.

 

Un esempio di identità non chiara

L’anti-esempio è stato il programma dell’Unione per le elezioni 2006.

Antonio Polito, in una puntata di Anno Zero del 20 settembre 2007, affermò candidamente che era impossibile applicare tutto il programma dell’Unione, perché era lungo 280 pagine.

L’esatto opposto del monito di don Sturzo: “Prometti poco e realizza quel che hai promesso”.

E Polito dichiarò inoltre che le parole utilizzate nel programma erano spesso volutamente ambigue.

In pratica, nell’impossibilità di tenere unita sul programma una coalizione che vinse col margine più risicato della storia repubblicana (24.755 voti, ossia lo 0,07%), si decise di usare l’ambiguità: un programma di governo interpretabile in diverse maniere, secondo la componente che lo andava a leggere.

L’esatto opposto di un altro monito di don Sturzo: “È prima regola dell'attività politica essere sincero e onesto”.

Qui invece si adottò la regola “Intanto vinciamo, poi si vedrà”.

Attenzione a non confondere un “programma ambiguo” con un “programma disatteso”. Il programma del centro destra 2008 era perfettamente chiaro: la prassi però non combacia col programma, e il programma giudica la prassi.

 

L’identità del Terzo Polo

Verificato con due esempi che possono esistere identità chiare e identità ambigue, veniamo a casa nostra.

L’anno scorso, qui a Rossena, si parlava del “Partito della Nazione”. Non so a che punto sia il Partito della Nazione. Abbiamo però appena vissuto (ieri, a Roma) la convention del cosiddetto Terzo Polo intitolata “Io cambio l’Italia”.

Di cosa parliamo allora? 

Dell’identità dell’UdC o dell’identità del Terzo Polo?

Direi che la coincidenza temporale è troppo ghiotta per non parlare subito del Terzo Polo.

Ovviamente non so nulla di che cosa è stato detto ieri (nulla proprio no, so poco), ma non credo che abbia molta importanza.

Quando una “cosa” è in formazione, la storia personale di chi parla in una convention è più importante di ciò che dice in un breve intervento, che potrebbe anche essere volutamente ambiguo per compiacere la platea.

Della convention di ieri mi occuperò degli “uomini del pomeriggio”: essendoci la presenza pomeridiana di Raffaele Lombardo, Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, ritengo che il pomeriggio sia stato il momento di peso maggiore (al mattino ha parlato Rutelli, l’uomo che ha il simbolo, ma non ha i voti).

Oltre ai tre leader, chi ha parlato al pomeriggio, salvo cambiamenti dell’ultimo momento?

Nell’ordine: Francesco Grillo, Chicco Testa, Nicola Rossi, Marco Li, Antonio Polito, Ali Al-Issawi, Monica Centanni, Carlo Medaglia, Sergio Talamo.

 

Francesco Grillo

London School of Economics Presidente e cofondatore del think tank Vision, amministratore delegato della società di consulenza Vision & Value dove si occupa di strategie legate alla diffusione delle tecnologie e di questioni relative alla globalizzazione. Ha conseguito un PhD presso The London School of Economics con una tesi sull’impatto della globalizzazione. 

Cosa pensa quest’uomo?

Sul suo sito c’è un articolo interessante. Si interroga su cosa hanno in comune Berlusconi, Bersani, Bossi e Di Pietro: sono vecchi (oltre 60 anni) e credono ancora che i problemi si risolvano a livello di Stato.

Cosa hanno invece in comune Cameron (conservatori), Clegg (liberali), Milliband (laburisti) e Obama? Sono quarantenni, cresciuti con Internet e credono che sia la responsabilità individuale, la mobilitazione della società a poter fare la differenza.

L’idea è quella della “Big Society”, soluzione per rendere servizi a un maggior numero di persone e di migliore qualità, riducendo il costo.

Lascio Francesco Grillo alle sue fantasie.

Ciò che accomuna in realtà i 4 quarantenni è il materialismo e la sudditanza bancaria: Cameron è figlio di un agente di borsa, Clegg è figlio di un banchiere, Milliband figlio di un teorico marxista ebreo polacco, Obama è un salvatore di banche con denaro pubblico. Tutti abortisti, ovviamente. Tutti con tendenze “bombarole”.

 

Chicco Testa

Volto noto: ex Legambiente, ex PCI, ex PDS, pluridirigente industriale in non so quante situazioni.

Managing Director della banca Rothschild.

 

Nicola Rossi

DS, poi PD. Strenuo lottatore per la privatizzazione dell’Università.

Membro del comitato scientifico della Fondazione Italia USA (fondazione non profit sorta sotto l’egida dell’Ambasciata USA in Italia).

Interessante andarsi a leggere i componenti del comitato scientifico (presidente è l’immancabile Umberto Veronesi).

 

Antonio Polito

Inizia coi maoisti, poi l’Unità, poi Repubblica, poi fonda il Riformista.

Fa parte di numerosi think-tank (uffa, ‘sto inglese…) “Policy network” “Les Progressistes” e Aspen Institute. 

Anche qui è interessante andare a vedere il Comitato Esecutivo di Aspen Italia: ci sono tutti, centro destra e centro sinistra, in questo istituto che “privilegia il confronto e il dibattito a porte chiuse”.

Istituto finanziato dalla Carnegie Corporation, Fondo Rockefeller, Fondazione Ford.

Un motto “Valori senza tempo, leadership illuminata”. A me gli illuminati non piacciono.

 

Trascuro gli altri

Trascuro gli altri: Monica Centanni, la donna di destra che apprezza Massimo Cacciari; Marco Li immigrato cinese, il fisico Medaglia, il giornalista Talamo.

 

Al-Issawi

Arrivo ad Ali Al-Issawi e qui mi fermo. Il vice premier dei ribelli bancari di Bengasi non posso digerirlo.

Già ho dovuto digerire la foto su Avvenire di un Frattini a 32 denti che stringe la mano a Jibril. Ci mancava Al-Issawi alla convention del Terzo Polo.

Ma sulla Libia, sul “gruppo di Bengasi” e i sui Nobel per la Pace dalla bomba sempre pronta ho già scritto fin troppo. Per chi vuole ne ho qui tre copie.

 

Cose brutte?

Tutti quelli che ho elencato sono persone disdicevoli? Fanno cose brutte? Partecipano ad attività illegali?

Ma no, certamente. Tutto pulito, tutto regolare. Tutto bello nella Fondazione Italia USA o nell’Aspen Institute, o nella banca Rothschild.

Ma l’UdC dov’è?

Perché, fino a prova contraria, quella che porta più voti al cosiddetto Terzo Polo è l’UdC.

E per me l’UdC ha ancora la faccia di Erio Benetti o di Tarcisio Zobbi.

Ossia una faccia che rappresenta l’anima popolare di un partito radicato sul territorio, non radicato nei think-tanks internazionali.

C’è qualcosa che stride in questa convention.

 

L’identità

La convention sta evidentemente definendo un’identità liberista per il Terzo Polo.

C’è da stupirsi?

In fondo Francesco Rutelli l’ha scritto chiaramente in una lettera aperta indirizzata a Gianfranco Fini il 10 febbraio scorso, il giorno prima della nascita ufficiale di Futuro e Libertà: ha detto che c’è da fare davvero una “rivoluzione liberale”.

Le persone chiamate a parlare alla convention sono proprio questo: un gruppo di globalizzatori, privatizzatori, materialisti, con agganci dell’alta finanza. 

Fa sorridere la frase di Rutelli a Fini, in quella lettera: “penso che i dubbi che diversi cattolici hanno espresso nei tuoi confronti li supereremo agendo sul terreno delle virtù e dei valori civici, e della concreta promozione delle esigenze reali - e dimenticate - delle famiglie italiane”.

Mi scusi Rutelli, ma non mi fido.

Vedo il fiorellino del suo simbolo, ma non dimentico le due squadre a forma di X del suo primo simbolo.

Vedo che Futuro e Libertà è nato ufficialmente l’11 febbraio 2011 (curiosa data bifronte, data importante per i cattolici, e importante anche per un gruppo non propriamente cattolico).

L’identità che volete forgiare è un’identità globalizzatrice, liberista, materialista, bancaria, e volete dirigerla usando i voti dell’UdC e l’MpA come se fossero truppe di minorati.

In quella convention vedo un po’ di cattolicità solo in Lorenzo Ornaghi.

Ma poi vado su Internet e vedo che anche lui fa parte del Comitato Esecutivo di Aspen Institute Italia, e quindi non mi sento molto legato neppure a lui.

 

Ritiro il voto

Avevo scritto tempo fa che “ritiravo il voto all’UdC”. Non significa “non voterò UdC in futuro”, significa che le mosse attuali mi deludono. Invece di proporre un’identità nostra, andiamo al traino del liberismo di marca USA.

E di marca Israele. Leggiamo il finale strappalacrime di Rutelli a Fini.

Per questo vi auguro buon lavoro; a Milano, e molto oltre. Verso il domani; una parola che nella democrazia israeliana si scrive Kadima; il partito dove si sono incontrati Ariel Sharon e Simon Peres, due storici avversari (molto, ma molto più grandi di noi!), per amore della loro Patria.

Così Rutelli, il leader che ha il simbolo ma non i voti, scriveva a Fini che ancora un po’ di voti li ha.

Ma Rutelli lo sa chi è Sharon? 

Quello della strage di civili del 1953, con condanna ONU. Quello dell’invasione del Libano del 1982. Quello che stava a guardare a Sabra e Shatila. Quello che ha provocato la seconda intifada passeggiando sotto scorta sulla spianata delle moschee.

Se il Terzo Polo deve somigliare a Kadima, scusatemi, ma davvero ritiro il voto.

 

Il discorso di Casini

Ho detto che non so nulla di ciò che è stato detto ieri a Roma.

In realtà ho scaricato almeno il discorso di Casini e l’ho scorso velocemente.

Non è un brutto discorso.

Metto tra parentesi l’ambiguo passaggio su Gheddafi.

Metto tra parentesi l’elogio sul “grande presidente” Napolitano: quello della morte di Eluana, quello che elogia i bombardamenti sulla Libia e poi scrive così al re di Norvegia.

«L'Italia - ha sottolineato il capo dello Stato - si stringe in questo tragico frangente all'amico popolo norvegese, oggetto di un sanguinoso e vile atto terroristico, e si unisce al suo Paese nel ripudio di ogni forma di violenza e nell'impegno a favore delle ragioni del dialogo e della pace».

Tra prassi libica e parole al re di Norvegia bisogna che Napolitano si chiarisca un po’ le idee.

Messe tra parentesi alcune cose, non è un brutto discorso.

Il problema è che non potrà mai realizzare ciò che illustra finché starà a braccetto con Rutelli e Fini. Non potrà far niente per la famiglia finché sta con loro. Non potrà fare una bioetica nei limiti del diritto naturale (così c’è scritto più o meno nel manifesto del terzo polo) con Fini, nemico del diritto naturale fin dal referendum 2005.

 

Lasciateci sognare

Lasciateci sognare, noi già democristiani di animo popolare, alieni dalla sinistra e alieni dal liberismo. Noi crediamo a un’identità diversa.

Questa legislatura aveva offerto all’UdC su un piatto d’argento la possibilità di definire una sua identità attraverso l’intervento netto in alcune situazioni:

Sull’omofobia. L’UdC ha fatto il suo dovere, bocciando anche il 19 maggio scorso il nuovo testo di Anna Paola Concia (dopo averlo già fermato nella versione passata). Ma quando Mara Carfagna fa gli spot filo gay al Meeting di Rimini, o quando Alemanno si inchina all’Europride, si doveva far sentire una voce netta che facesse capire a PdL e PD che noi siamo davvero “altro”. Ma non si poteva fare, perché Fini e Rutelli sono accodati al pensiero unico pro gay.

Sulla guerra in Libia. Si doveva ricordare che “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ma non si poteva, perché si doveva contestare la posizione del “grande presidente” Napolitano.

Trattato di Lisbona. La votazione unanime e entusiastica non era proprio necessaria. L’articolo 9 della Carta dei Diritti, recepita dal Trattato, parla di “diritto di sposarsi e diritto di costruire una famiglia”, ed è l’esatto opposto dell’articolo 29 della nostra Costituzione. Un distinguo andava fatto. Ma non si poteva, perché il Parlamento del “pensiero unico” ci avrebbe tacciato di anti-europeismo.

Tagli alle scuole paritarie. Non era il caso di contestare fermamente i tagli fatti da un governo che prometteva “sostegno alle famiglie per una effettiva libertà di scelta educativa”?

RU486. Era prevista nei programmi della sinistra, non era prevista nei programmi di PdL + Lega. E allora come ha fatto a passare? Era necessaria una reazione forte. Ma non si poteva, per tenersi aperta la possibilità di allearsi con la Bresso.

Eluana. Qui l’UdC ha fatto il suo dovere. Ma, fatto il suo dovere, perché non si è battuta per l’approvazione di una semplice legge che riproducesse il “decreto salva Eluana”? Invece ci siamo andati a imbarcare in questa faccenda delle DAT senza dare alcuno spazio a chi ne evidenziava i buchi giuridici ed eutanasici.

Brambilla. Quando una ministra della Repubblica crea un sito su “La coscienza degli animali” (con l’immancabile Umberto Veronesi) non è il caso di farsi sentire con un sussulto di filosofia spicciola? E quando propone liberalizzazioni dell’orario festivo dei negozi (cosa che certamente non piace ai commessi dei negozi) non è il caso di dire qualcosa di forte per il bene della famiglia?

Boffo. Dire che Boffo è stato impallinato da Vittorio Feltri è come dire che Kennedy è stato ucciso da Lee Oswald: una cosa vera e falsa insieme. Non era il caso di ricordare che le due cose su cui Boffo ha dato fastidio erano il referendum sulla legge 40 e la battaglia per Eluana, culminata con l’uscita del libro “Eluana, i fatti”? Boffo e Feltri si sono incontrati e sanno benissimo chi ha impallinato entrambi.

DIDORE. Una voce forte quando Brunetta e Rotondi propongono i DIDORE era necessaria. Impopolare ma necessaria.

Sono esempi tra i tanti che si potrebbero fare. La possibilità di descrivere un’identità forte c’è, purché la si desideri. 

Partendo da un’identità forte (che non è altro che l’adesione alla legge naturale universale), è anche possibile poi fare “mercato”: se ci volete, noi siamo fatti così.

 

Ma non mi illudo

La speranza non muore, ma non mi illudo.

Quando vado a leggere il Comitato Esecutivo di Aspen Institute Italia cesso da ogni illusione. Basta leggere i nomi.

Luigi Abete (presidente BNL)

Giuliano Amato (parlamentare, senior advisor in Italia di Deutsche Bank)

Lucia Annunziata (giornalista TV e stampa, direttrice di Aspenia)

Alberto Bombassei (vicepresidente Confindustria)

Francesco Caltagirone (costruttore, “suocero” di Casini)

Giuseppe Cattaneo (consigliere del presidente)

Fedele Confalonieri (presidente Mediaset)

Fulvio Conti (A.D. e D.G. Enel)

Maurizio Costa (vicepresidente e A.D. Mondadori)

Gianni De Michelis (politico di lungo corso, consulente del ministro Brunetta)

Umberto Eco (filosofo, scrittore, accademico, eccetera)

John Elkann (presidente FIAT)

Jean-Paul Fitoussi (economista, consulente Primo Ministro francese, CdA Telecom)

Franco Frattini (ministro degli esteri)

Gabriele Galateri di Genola (presidente di Assicurazioni Generali e Telecom)

Mario Greco (CEO della Genera Inurance, Zurigo assicurazioni)

Enrico Letta (parlamentare, vicepresidente PD)

Gianni Letta (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio)

Emma Marcegaglia (presidente Confindustria e LUISS)

William Mayer (CEO Credit Suisse e altro)

Francesco Micheli (finanziere e imprenditore)

Paolo Mieli (RCS libri, ex direttore Corriere della Sera)

Mario Monti (International Advisor per Goldman Sachs)

Lorenzo Ornaghi (rettore della Cattolica e vicepresidente di Avvenire)

Corrado Passera (C.D. e CEO di Intesa San Paolo)

Riccardo Perissich (vicepresidente di CONSIUSA, relazioni Italia USA)

Angelo Maria Petroni (docente universitario, studioso liberalismo, fondatore Forza Italia)

Mario Pirani (giornalista, economista, scrittore, cofondatore di Repubblica)

Romano Prodi (parlamentare ed ex Presidente del Consiglio, presidente gruppo lavoro ONU-Unione Africana per le operazioni di peacekeeping)

Alberto Quadrio Curzio (economista e docente universitario)

Giuseppe Recchi (presidente ENI)

Gianfelice Rocca (vicepresidente Confindustria, presidente clinica Humanitas)

Cesare Romiti (presidente fondazione Italia-Cina, ex FIAT)

Paolo Savona (economista, docente, presidente Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi)

Carlo Scognamiglio (presidente onorario ASPEN, economista, docente, politico)

Lucio Stanca (deputato PdL, ex presidente Expo 2015)

Giulio Tremonti (ministro Economia e Finanze, presidente ASPEN)

Beatrice Trussardi (presidente e A.D. gruppo Trussardi)

Giuliano Urbani (politologo, cofondatore Forza Italia, consiglio amministrazione RAI)

Giacomo Vaciago (economista, saggista, Università Cattolica)

Ci sono tutti: destra, sinistra, dirigenti, imprenditori, banchieri, assicuratori, economisti, docenti universitari, gestori dei media.

L’impressione sempre più netta è che si assista (in TV e sui giornali) a un teatrino, dove appaiono personaggi che sembrano avversari e che invece si parlano e concertano a porte chiuse sotto finanziamento Carnegie, Rockefeller, Ford.

 

Il nostro pensatoio

Noi però il nostro pensatoio l’abbiamo.

Non lo chiamano “think-tank”, ma è di fatto un think-tank internazionale. Si chiama Chiesa Cattolica.

E’ la maggior esperta di bene comune e di legge naturale.

E’ laica, perché la laicità è una sua invenzione.

Ma noi abbiamo interrotto il cordone ombelicale che ci nutriva, fidandoci più delle sirene laiciste dei Fini e dei Rutelli.

“Noi” inteso come partito di vertice. Ma non nel popolo dei paesi.

Io credo che in ogni paese si potrebbe formare una lista civica “Alternativa” come è accaduto a San Martino in Rio, lista locale senza pretese di vittoria, ma con la possibilità di diventare un pensatoio.

Col sogno ultimo di una rete di liste locali che insegni di nuovo all’UdC a fare l’UdC. Ossia un partito popolare radicato sul territorio e non il lacchè dei pensatori globalizzati.

 

Vi ringrazio

Giovanni Lazzaretti


 
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