2009-11-25 Avvenire - la coscienza di Newman Stampa
Scritto da Giovanni   
Lunedì 07 Dicembre 2009 18:14

San Martino in Rio, 25 novembre 2009


Caro Direttore,

giovedì 19 Giovanni Bachelet, citando il card. Newman, ha calato la carta vincente: “Se dovessi portare la religione in un brindisi dopo un pranzo […] allora io brinderei per il Papa. Ma prima per la coscienza e poi per il Papa”. Questa frase, citata anche dal card. Ratzinger, evidenzia la supremazia della coscienza sul Papa. La coscienza (altra citazione di Newman, presente nel Catechismo) è “il primo di tutti i vicari di Cristo”.

Ma di quale coscienza parlava Newman? Non certo della coscienza erronea. Parlava della coscienza rettamente formata, e la coscienza rettamente formata recepisce in toto il Magistero del Papa e della Chiesa.

Se il Papa dice “l’illiceità dell’aborto è un assoluto morale” e io invece dico “in un certo caso l’aborto è lecito”, non sto esercitando una libertà di coscienza, ma sto semplicemente evidenziando che la mia coscienza non è retta.

Va bene. Ma questo riguarda i cattolici. Un ateo non si uniforma certo al Magistero del Papa”.

L’ateo forma rettamente la sua coscienza sulla legge naturale universale, che è patrimonio di ogni uomo. Anche per l’ateo, pur senza l’aiuto del Papa, l’illiceità dell’aborto è un assoluto morale.

“Ammettiamo anche questo. Ma tutto ciò riguarda la sfera privata e familiare. Quando un cattolico scende in politica deve confrontarsi col pensiero laico e deve trovare un punto di mediazione”.

L’obiezione contiene due errori. Io vado in politica come cattolico, e il mio vicino ci va come ateo, agnostico, buddista, valdese, ecc. E tutti (sottolineo “tutti”) siamo laici, perché tutti siamo sottoposti alla legge naturale universale. Dai veri laici si stacca però il gruppo dei laicisti, quelli che credono nella cosiddetta “autodeterminazione” e nel “totalitarismo della maggioranza”.

Tra laici (=legge naturale universale) e laicisti (=totalitarismo della maggioranza) non c’è possibilità di mediazione, c’è solo possibilità di battaglia. Se io dovessi mediare un assoluto morale, quello non sarebbe più assoluto, ma sarebbe “svenduto” al pensiero laicista.

Detto con un esempio. Lo Stato può scegliere di perseguire l’aborto. Può anche scegliere di tollerarlo, comminando sanzioni simboliche. Potrà decidere di ignorarlo, quando sarà realizzato con pillole invisibili, efficaci e private. Ma non può emanare una legge che lo legalizza. Quando la emana, lo Stato incrementa la deriva totalitaria della democrazia.

Il totalitarismo attuale non si presenta coi baffetti e il braccio teso. E nemmeno coi baffoni e il pugno chiuso. Ha piuttosto l’immagine dell’intellettuale “pensoso e aperto”, il tuttologo da talk show televisivo. E il totalitarismo futuro sarà ancora più subdolo: il regno dell’Anticristo sarà “una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità”. Contrastare un totalitarismo violento è cosa dura e pericolosa, ma concettualmente chiara. Contrastare un totalitarismo piacevole, mette invece a dura prova la nostra ragione.

Per questo bisogna sempre annunciare la legge naturale universale e, sul piano pratico, rompere costantemente le scatole al partito che abbiamo votato: sul divorzio, sull’aborto, sulla contraccezione di Stato, sulla fecondazione artificiale, sulla cosiddetta omofobia, sulle convivenze, sul testamento biologico, sull’eutanasia. “La questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica”: non è questa l’essenza della Caritas in Veritate?

Un caro saluto

Giovanni Lazzaretti